giovedì 5 luglio 2012

Ai miei allievi della Terza A (che da poco ho esaminato e quindi ormai ex...)
Vi auguro sogni a non finire e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno. Vi auguro di amare quel che va amato e dimenticare quel che va dimenticato. Vi auguro passioni. Vi auguro silenzi. Vi auguro canti di uccelli al risveglio e risate di bambini. Vi auguro di resistere all’arenamento, all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca. Soprattutto, vi auguro di essere voi stessi. (Jacques Brel)
E non dimenticate il valore di quel “rumore di fondo dei classici” di cui parlava Calvino: tale rumore torna sempre a chiamarci perché ci parla di noi, delle nostre radici, della memoria che ci identifica e del nostro futuro. Bernardo di Chartres, già diversi secoli fa, affermava che “ noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti. Vediamo quindi un numero di cose maggiore degli antichi, e più lontane. E non già perché la nostra vista sia più acuta, o la nostra statura più alta, bensì perché essi ci sostengono a mezz'aria e ci innalzano di tutta la loro gigantesca altezza”. I giganti di Bernardo sono naturalmente i “grandi” del passato, i pensieri e le opere degli autori, la storia complessa e tormentata che li ha partoriti. È questa ricchezza che può dare senso al nostro presente, sostenendoci nella difficile impresa di costruire un futuro umanamente accettabile e aperto alle altre culture. In bocca al lupo per l'Università!

mercoledì 20 luglio 2011

giovedì 7 luglio 2011

Una rivalutazione della follia a partire dai Greci




Giulio Guidorizzi “Ai confini dell’anima. I Greci e la follia”- Raffaello Cortina Editore


“Dalla Follia alla Ragione, dal mito al logos è una delle tradizionali chiavi di lettura della civiltà greca; si tratta certo di una semplificazione, poiché in realtà mito e logos sono intrecciati lungo il percorso di quella cultura, come pure ragione e follia.”
(dal I capitolo, pag.16)

“La nozione stessa di follia presenta contorni frastagliati e molteplici, tanto che c’è da disperare di riuscire a giungere a un’unità.”
(dal I capitolo, pag.17)

“Secondo Platone la follia guarisce la follia attraverso una cura omeopatica…”
(dal I capitolo, pag.58)

“Ogni uomo – scriveva Platone – combatte una guerra contro se stesso. Il luogo di questo conflitto, nel quale una parte di noi si scopre nemica dell’altra, è uno spazio interiore chiamato psiche (psyché), che si potrebbe tradurre con “anima” ma che include anche il concetto di “mente”. Lì in modo silenzioso e invisibile maturano i germi di ciò che lo stesso Platone definisce “il funesto pungolo che cresce negli uomini per inespiabili colpe antiche e si agita dentro di lui”.”
(dal II capitolo, pag.63)

Uno studio inedito quanto approfondito quello di Guidorizzi sulla follia, “ un mezzo per forzare i limiti della coscienza e dilatare la personalità”, come ci avverte sin dalle prime pagine l’autore. La puntualità del lessico di Guidorizzi e la sua linearità nell’esposizione dell’argomento ci calano tout court nel merito della sua indagine: la follia, dono o malattia? Sogno o realtà? Forma di espressione, arte o degradazione umana?
L’analisi dei punti in questione si dipana a partire dai Greci: “I Greci attribuirono alla follia, o almeno ad alcune sue manifestazioni, la dignità di linguaggio, uno dei tanti attraverso cui si può esprimere l’essere umano.”, afferma l’autore. Sì, perché è in Grecia che, per la prima volta, viene tracciato il confine tra “ follia” e “salute mentale”; difatti, con la cultura illuminista della Grecia periclea e socratica del V secolo certune esperienze cosiddette “di confine”, che conducono cioè “ai confini dell’anima”, appunto, esperienze come “l’estasi”, la “possessione” è quant’altro attinga alla sfera del subliminale vengono relegate nel limbo dell’Irrazionale. Avviene in tal modo una prima classificazione di tendenze tipica di un accesso di razionalità. E tuttavia Guidorizzi, parafrasando Lévi-Strauss, vorrebbe indurci a valutare l’ipotesi opposta di una reciproca implicanza dei due elementi, di razionale e irrazionale: “… in ogni prospettiva non scientifica pensiero patologico e pensiero normale non si contrappongono ma si completano”. Mi fa ripensare alla teoria degli “opposti complementari” di William Blake, di quella complementarità in assenza della quale non si verifica neanche il progresso. Poi, naturalmente, da esperto di Teatro e drammaturgia classica (ma credo anche, in genere), Guidorizzi non poteva omettere di affermare che esista, in natura, un “metodo” della follia, il che ci rimanda all’ “Amleto” di Shakespeare, e, ancor più precisamente, alla topica battuta del precettore Polonio di fronte ai vaneggiamenti costruiti di Amleto: “benché questa sia follia, anche in essa vi è del metodo”. D’altronde la connessione tra Arte e follia è inequivocabile: “un poeta non è in grado di creare prima di essere invasato e fuori di sé, e prima che la ragione si allontani da lui”, il professore ci dice, citando lo “Ione” di Platone. In particolar modo è importante lo stretto rapporto che intercorre tra follia e Teatro, in quanto quest’ultimo, specie quello Attico, ne fa oggetto di riflessione collettiva. Ora, certamente, per quanto sarei tentato dal farlo (data l’attraenza del testo e dell’argomento, nella sua trattazione), non posso anticiparvi tutti i temi fondamentali del libro di Guidorizzi, certo vi basti sapere per il momento che “Studiare la follia nel mondo greco significa contemporaneamente studiare gli ambiti in cui si sviluppa l’attività del folle”, ci avverte sempre il professore, quindi, vi aspetta uno studio davvero profondo che l’autore ha voluto dedicare a tale aspetto. Io, al contrario, mi affretto a chiarire alcuni dei punti, da me, messi in luce: la follia come espressione culturale, perché no “dono” o degradazione umana, malattia? Guidorizzi risponde subito: “… malattia, espressione religiosa, istituzione culturale, in una società in cui i folli non erano reclusi e isolati dato che la comunità dei sani decise di coesistere con quella degli alienati”. Notevole inoltre, di fronte all’ipotesi della malattia, è l’affermazione per cui “La sacralizzazione della follia sembra essere, in definitiva, un utile sistema di cura e reintegrazione (più o meno provvisoria) del pazzo nel corpo sociale… ”. Sul punto “follia: sogno o realtà?”, ci sarebbe da aggiungere che l’uno non differisca poi tanto dall’altra, in quanto entrambi, follia e sogno sono forze creative, capacità di creare qualcosa dal nulla; si registra, quindi, una ennesima complementarità di tale fenomeno. Infine, è sui concetti nodali di “ménos” e “àte” Greca che vorrei soffermarmi, con una particolare attenzione per l’attuale: “Mentre il ménos si manifesta in primo luogo come un fenomeno fisico, vale a dire come una benefica forma di energia che scorre nelle vene, àte sembra essere un fatto esclusivamente mentale;” sintetizza Guidorizzi. Ecco, proprio da questi pochi ma preziosissimi dati, io ho formulato una mia personale interpretazione su queste diverse modalità di follia: mentre “ménos” con la sua impronta primigenia e barbarica si configura come il tipo di follia classica; “àte” che, sostanzialmente, è un “accecamento” da cui, ineluttabilmente, deriva una “colpa”, incarna proprio il tipo di follia moderna; e non per nulla, infatti, ci ricorda la visione, classicamente, tragica della letteratura di Thomas Hardy.
Per concludere dunque: da questo studio si deduce, chiaramente, che la follia sottende alla dimensione del “subliminale”, quindi dell’indicibile; e che, in questo libro, risulta, fortemente, rivalutata. Una rivalutazione, a parer mio, legittima quanto necessaria in una odiernità all’interno della quale, viepiù, si sta perdendo l’aspetto della vita.

Osvaldo Passafaro, allievo Liceo Classico "P. Galluppi" di Catanzaro

martedì 5 luglio 2011

Il Piccolo Principe
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perchè è lei che ho innaffiata. Perchè è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparata col paravento. Perchè su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle).Perchè è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perchè è la mia rosa".
Antoine de Saint-Exupéry

venerdì 16 luglio 2010

L'infinito


( Alecu Grigore)

sabato 5 giugno 2010

Direttamente dalla pagina dei ringraziamenti dal blog: Il profumo dei Libri

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Il terzo ringraziamento va alla mia attuale professoressa Patrizia Curcio, docente d’ italiano e geografia nella mia classe. Una professoressa che stimo moltissimo per l’impegno e la serietà che offre ogni giorno ai suoi alunni e nella scuola. Non ha mai trascurato un singolo alunno, è sempre rimasta bene attenta alle esigenze della classe e sull’impegno che ogni singolo studente attua, e punendo giustamente una mancanza o una svogliatezza. Con lei ho imparato che la scuola non è solo studio, studio, e studio, c’è sempre il momento per una risata e una piccola distrazione per non appesantire le lezione, ed è sempre con lei che ho preso seriamente la scelta che vorrei fosse presente nel mio futuro: il giornalismo. Vi consiglio pertanto di visitare il suo blog “Patriciae Idearum Hortus” un modo nuovo e originale di far adoperare ai suoi alunni, il computer in maniera corretta, e quindi, perché no, con una ripassata degli argomenti trattati in classe o nuovi argomenti coinvolgenti. Un grazie quindi a tutti i professori che amano la scuola e i propri alunni, proprio come quelle che conosciuto io!

Dal blog http://ilprofumodeilibri.blogspot.com/