domenica 10 gennaio 2010

LE TRASFORMAZIONI DI PICTOR







Questa "Favola d’amore " scritta da Hermann Hesse fu dedicata dall'autore alla cantante mozartiana Ruth Wenger, per la quale era stata scritta nel 1922 poco dopo aver terminato Siddharta : due anni dopo la Wenger divenne la seconda moglie di Hesse.

La fiaba (1) parla di un uomo, Pictor, in cerca della conoscenza, il quale non ancora pronto a comprendere l’esempio dell’uccello-fiore-farfalla in continuo cambiamento, fraintende il senso della felicità e finisce per scambiare la libertà di una perenne trasformazione, di una tensione continua della vita, per una quiete, un incanto magnifico che una volta raggiunto per essere tale dovrà rimanere sempre uguale a sé stesso.
Pictor, trasformato in statico albero, prima si sente soddisfatto e non aspira ad alcun’altra cosa, è appagato e questa condizione gli sembra l’agognata felicità, ma ben presto, guardandosi intorno, si vide distaccato dalla realtà, incapace di transitare, per sempre prigioniero in un’unica forma; sente e cresce in lui un forte desiderio di essere, anche lui allora vuole trasformarsi e crescere perché i sentimenti umani che porta dentro di sé – la solitudine, la paura, l’attrazione per il bello non in sé ma nel divenire, lo spirito di avventura che c’è nella trasformazione, il bisogno di amore, il desiderio – lo spingono nella direzione del sentimento dell’umanizzazione: la capacità di desiderare è il ponte che permette di raggiungere questa consapevolezza, questa crescita interiore.
Crescere o non crescere non è un dilemma limitato all’infanzia, è una scelta che attraversa tutta la nostra vita. Sebbene adulti, proprio perché maturi, fino alla fine ci confrontiamo con la possibilità di lasciare tutto così com’è o di fare un passo avanti e cambiare.
È un tema universale. La trasformazione è crescita ed è cambiamento. Ma come nessuna persona cresce in maniera uguale all’altra, così anche il cambiamento si realizza per ciascuno in maniera diversa.
L’immobilità rappresenta il rifiuto di tutto, il rifiuto del confronto, la inetta solitudine di voler rimanere da soli perché si pensa che da soli si basti a se stessi, è l’egoismo di chi non vuole andare avanti e crescere. La trasformazione si lancia in avanti in un movimento continuo; come per dire che dai propri errori e dalle proprie sofferenze si apprende a poco a poco.
Pictor rappresenta in sintesi l'uomo che nel suo percorso di formazione deve calarsi nella immobilità del reale per apprezzare il valore del mutare, della crescita, del divenire, della trasformazione.

Abbiamo bisogno di uscire dal finto ed apparente sogno del paradiso statico ed eterno che finisce per decretare la nostra morte in quanto spegne ben presto nuovi sogni ed obiettivi.
Così Pictor diventato un albero, è felice per molti anni, ma incompleto. Il rimando all’amore sarà proprio nella decisiva trasformazione, quella nella quale troverà la vera e definitiva felicità.
Ma il richiamo all'amore è prima di tutto un'inclinazione interiore, un potere esclusivo dell'anima, dove verità e parole coincidono e si toccano, è un potere che stabilisce, determina e precisa il modo con cui ci si avvicina e rapporta con l’universo e con gli altri.
A Pictor capita ciò, trova il suo mondo appena scorge la fanciulla, non la conosce molto, non ha trascorso con lei molti giorni “ guardandosi negli occhi” ma ha “sentito”, ha “intuito” una forma più pura di amore e completezza, perché pur se apparentemente paradossale “ catturando i suoi pensieri, le sue parole, la sua essenza ha finito per innamorarsi della sua anima”.
Hermann Hesse ha saputo, come al solito, donarci pagine di saggezza, dove la purezza e semplicità della svolta finale si mescolano con la fantasia della scrittura e dell’ambientazione, in un paradiso visto ed interpretato come non luogo di salvezza assoluta, ma di ricerca di sé e dell’amore, che una volta trovato diventa imprescindibile da noi.
Come a dire che il vero paradiso siamo noi quando riusciamo davvero a trovare un equilibrio non statico ma stabile con il nostro essere e con gli altri!

Dobbiamo fare una scelta, tra la riserva di Kant e la passione di Nietzsche, tra la via del Buddha e quella di Dioniso, tra l’amore di Dio e l’amore del Desiderio. Tra un’idea della libertà e la gestione dei bisogni, tra indipendenza e dipendenza, tra distacco e appartenenza ed unione.
Non si sceglie di amare, ma si può scegliere il proprio modo di amare: amare è essere là, vicino allo straordinario dell’ordinario è offrire, dare, perdonare.
Amare è sposare … le radici degli alberi e la forza dei venti minacciosi.
Buona fortuna nella ricerca, soprattutto ai lupi solitari!

Patrizia

Bellissimo il manoscritto illustrato dallo stesso autore: "ripetutamente Hesse ha richiamato l'attenzione sul fatto che questa favola è scaturita tutta dalle immagini, che quindi ne fanno parte integrante, e che non esiste discrepanza tra la pittura e la sua poesia, perché in entrambe egli non persegue la verità naturalistica ma esclusivamente la verità poetica "(Volker Michels).



(1)In realtà pur se conosciuto questo testo anche con il titolo di "Favola d'amore" per caratterisiche formali, per ambientazione, per motivi ricorrenti, per personaggi e per funzioni lo scritto è da ascrivere al genere letterario della fiaba.

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Anna Mirabelli
Il significato di questa favola secondo me è che non dobbiamo mai rimanere statici ma cambiare sempre. Il protagonista, Pictor, chiede a tutti quelli che incontra dov’è la felicità perché lui vuole assolutamente essere felice. Così appena gli si presenta l’occasione si trasforma in albero. Pictor sente di essere felice ma dopo un po’ di tempo si sente triste poiché tutti gli animali e gli alberi si trasformavano mentre lui rimaneva sempre lo stesso cioè statico. Si sentiva solo ma poi vide una ragazza e se ne innamorò. Lei capì che Pictor era triste ed espresse il desiderio di far parte di quell’albero così da essere una cosa sola con Pictor. Questa favola ci fa capire che la felicità è un attimo e non si può essere felici per sempre. Poi nel corso della vita abbiamo bisogno di cambiare perchè non possiamo essere sempre gli stessi e quando raggiungiamo una meta non dobbiamo smettere di trovarne altre perché altrimenti saremmo piatti. Per trasformarci ed essere completi dobbiamo incontrare persone diverse da noi così da confrontarci e imparare tante cose nuove quindi non ha senso stare con una persona uguale a noi poiché in questo modo non saremo mai completi. Quindi Pictor rappresenta l’uomo comune alla ricerca della felicità. Lo stile con cui è stato scritto è tipico della favola e penso che il messaggio che Hermann Hesse ci ha voluto lasciare sia appunto quello che noi nel corso della vita dobbiamo cambiare sempre. Per quanto mi riguarda la favola mi è piaciuta ma non poi così tanto. Il significato è molto bello e istruttivo ma non mi è piaciuto il modo in cui l’autore ha deciso di narrarlo. Infatti ha usato dei personaggi e dei luoghi troppo fantasiosi poiché appena si inizia a leggere questa favola il protagonista sembra essere un po’ bizzarro visto che vede i fiori che cantano e che si trasformano ma come dimostrano nel Don Chisciotte spesso sotto questa pazzia c’è un significato nascosto molto importante.


Assunta Scozzafava
Commento:le trasformazioni di Pictor
20/01/2010 18.54
Si cambia,si cresce e si è sempre alla ricerca della felicità. ma in questa folle corsa verso un sentimento che non perdura mai,l'uomo perde se stesso. Pictor desidera di diventare un albero e ciò avviene,inizialmente era beato,ma l'anima era incompleta. Pictor non può trasformarsi, è rinchiuso in una corteccia che non sente più sua. Sarà l'amore di una fanciulla a ridestarlo dal "sonno" del cuore,a regalargli una realtà diversa. E' vero, dobbiamo sempre cercare di essere completi,di riflettere con la propria testa senza essere svincolati e dipendere dagli altri poiché alla fine siamo noi,da soli, a prendere delle scelte,alcune delle quali sono decisive per la nostra vita -Ma come- mi chiedo -l'uomo può bastare a se stesso? Non vive forse tra la gente?Non cresce e quindi cambia con essa?- Ma dopotutto non saremo mai davvero completi,neanche con la gente. Ah,come sono deboli e imprevedibili i sentimenti degli uomini. Si dice che per prendere le scelte giuste bisogna ascoltare il cuore,ma molte volte lo si segue poiché è quella cosa che fa più male dentro di noi se non viene accontentata. Dopotutto non sapremmo mai come si raggiunge la felicità e quindi la completezza,se seguendo il cuore o la ragione. Perciò Herman Hesse c'invita ad andare alla ricerca di questo sentimento per quanto breve che sia,c'invita ad una esplorazione continua,poiché l'avventura e il viaggio sono molto più emozionanti della meta stessa!
Assunta Scozzafava VA
Laura Fabietti
20/01/2010 18.09
"Secondo me la morale di questa favola è cambiare, cambiare quando si ha imparato dai propri errori, quando si diventa maturi.
Pictor, il protagonista, trasformandosi in albero pensa di essere felice, e in un primo tempo è così. Ma con il passare del tempo si accorge tutte le cose e gli animali che gli stavano intorno cambiano, si trasformano, e Pictor sent che gli manca questo cambiamento per trovare la felicità, questo avviene solo quando incontra la fanciulla che si fonde e provoca in lui un forte cambiamento e il suo completamento.
Herman Hesse ci vuole dire che, quando si raggiunge una meta non ci si deve fermare, ma andare avanti e che solo cambiando si cresce e ci si completa fino a raggiungere la felicità.
Oltre a questo io ci trovo un'altro messaggio.Secondo me Hesse vuole anche dire che l'uomo è egoista, infatti Pictor si comporta da egoista quando si trasforma in un albero perché pensa solo alla sua felicità, e poi si pente, è egoista quando per trovare la SUA completezza cerca di attrarre la fanciulla e la porta a trasformarsi in un albero insieme a lui, sempre per la SUA felicità."
Laura XD

Nadia Raimondo
21/01/2010, ore 14.50
Commento sulle trasformazioni di Pictor
“Le trasformazioni di Pictor” è una fiaba scritta da Hermann Hesse intorno al 1920. Il protagonista è Pictor, un uomo che andava alla ricerca della felicità e pensando di averla raggiunta si ferma nella sua staticità non capendo che proprio oltre quella barriera avrebbe trovato il suo fulmineo tesoro. Pictor si trasforma così in un albero e il suo non mutare di fronte alla dinamicità degli altri lo distruggeva sempre di più. La felicità è un attimo struggente che ci avvolge e ci lascia in un attimo, è un qualcosa che muta e si trasforma a seconda della nostra personalità. Pictor non capiva che aveva bisogno di qualcun altro per compiere quel cammino, non capiva che credere di essere una totalità significava essere solo una dolce metà di fronte agli altri. Conoscere ciò che non è non significa amalgamarsi con essa, essere una cosa solo ma conoscere quell’entità affine, nello stesso tempo opposta al nostro spirito, e imparare a rispettarla per ciò che è; come dice infatti Hermann Hesse in uno dei suoi romanzi il nostro opposto è il nostro complemento. Una persona che apprende questo ha capito i senso della vita, ha capito che non bisogna mai arrendersi di cercare quest’anima affine e di compiere insieme il viaggio interiore alla ricerca della conoscenza, non arrendiamoci se siamo soli, se ci siamo persi in una valle oscura, non fermiamoci ma andiamo avanti. Non smettiamo mai di crescere, perché crescere è bello, non smettiamo mai di trasformarci perché è umano, non smettiamo mai di essere felici perché non esserlo è avere un’anima divisa. Scrutiamo sempre cosa c’è dietro il tramonto perché proprio dietro l’impossibile sta il possibile, andiamo alla ricerca dello spirito perduti e facciamoci trasportare da essa. Io condivido pienamente il messaggio di Hesse e il modo implicito in cui l’ha fatto emergere, ammiro il suo linguaggio semplice ed a mio parere persuasivo ma non condivido il messaggio che dà dell’essere opposto. Dal mio punto di vista tutti siamo delle metà e noi abbiamo bisogno di trovare quella giusta perché ce n’è solo una. Sono d’accordo come insiste l’autore che un uomo deve imparare a crescere ad apprendere dai suoi sbagli però non sono d’accordo che per realizzare ciò debba conoscere e imparare più animi opposti . Per me la metà è una, anche se la mia personalità cambia sempre di quella ho bisogno; come una “A” se fosse solo una metà sempre della metà “A” avrebbe bisogno e non delle altre lettere a prescindere se muti o no con lo scorrere degli anni. Comprendo che ho una concezione sbagliata però mi farebbe piacere leggere gli altri commenti per conoscere le altre diversità, capire i miei errori e migliorare. Nadia Raimondo


TESTO:

Appena giunto in paradiso Pictor si trovò dinnanzi ad un albero che era insieme uomo e donna. Pictor salutò l’albero con riverenza e chiese: “Sei tu l’albero della vita?”. Ma quando, invece dell’albero, volle rispondergli il serpente, egli si voltò e andò oltre. Era tutt’occhi, ogni cosa gli piaceva moltissimo. Sentiva chiaramente di trovarsi nella patria e alla fonte della vita.
E di nuovo vide un albero, che era insieme sole e luna. Pictor chiese “Sei tu l’albero della vita?”. Il sole annuì, la luna annuì e gli sorrise. Fiori meravigliosi lo guardavano, con una moltitudine di colori e di luminosi sorrisi, con una moltitudine di occhi e di visi. Alcuni annuivano e ridevano, altri annuivano e sorridevano: ebbri tacevano, in se stessi si perdevano, nel loro profumo si fondevano. Un fiore cantò la canzone del lillà, un fiore cantò la profonda ninna-nanna azzurra. Uno dei fiori aveva grandi occhi blu, un altro gli ricordava il primo amore. Uno aveva il profumo del giardino dell’infanzia, il suo dolce profumo risuonava come la voce della mamma. Un altro, ridendo, allungò verso di lui la sua rossa lingua curva. Egli vi leccò, aveva un sapore forte e selvaggio, come di resina e di miele, ma anche come di un bacio di una donna.
Tra tutti questi fiori stava Pictor, pieno di struggimento e di gioia inquieta. Il suo cuore, quasi fosse una campana, batteva forte, batteva tanto; il suo desiderio ardeva verso l’ignoto,verso il magicamente prefigurato.
Pictor scorse un uccello sull’erba posato e di luminosi colori ammantato, di tutti i colori il bell’uccello sembra dotato. Al bell’uccello variopinto egli chiese “Uccello, dove è dunque la felicità?”. “La felicità?” disse il bell’uccello e rise con il suo becco dorato, “la felicita, amico, è ovunque, sui monti e nelle valli, nei fiori e nei cristalli”.
Con queste parole l’uccello spensierato scosse le sue piume, allungò il collo, agitò la coda, socchiuse gli occhi, rise un’ultima volta e poi rimase seduto immobile, seduto fermo nell’erba, ed ecco: l’uccello era diventato un fiore variopinto, le piume si era erano trasformate in foglie, le unghie in radici. Nella gloria dei colori, nella danza e negli splendori, l’uccello si era fatto pianta. Pictor vide questo con meraviglia.
E subito il fiore-uccello cominciò a muovere le sue foglie e i suoi pistilli, già era stanco del suo essere fiore, già non aveva più radici, scuotendosi un po’ si innalzò lentamente e fu una splendente farfalla, che si cullò nell’aria, senza peso, tutta di luce soffusa, splendente nel viso. Pictor spalancò gli occhi dalla meraviglia.
Ma la nuova farfalla, l’allegra variopinta farfalla-fiore-uccello, il luminoso volto colorato volò intorno a Pictor stupefatto, luccicò al sole, scese a terra lieve come un fiocco di neve, si sedette vicino ai piedi di Pictor, respirò dolcemente, tremò un poco con le ali splendenti, ed ecco, si trasformò in un cristallo colorato, da cui si irraggiava una luce rossa. Stupendamente brillava tra erba e piante, come rintocco di campana festante, la rossa pietra preziosa. Ma la sua patria, la profondità della terra, sembrava chiamarla; subito incominciò a rimpicciolirsi e minacciò di scomparire. Allora Pictor, spinto da un anelito incontenibile, si protese verso la pietra che stava svanendo e la tirò a sé. Estasiato, immerse lo sguardo nella sua luce magica, che sembrava irraggiargli nel cuore il presentimento di una piena beatitudine.
All’improvviso, strisciando sul ramo di un albero disseccato, il serpente gli sibilò nell’orecchio: “La pietra si trasforma in quello che vuoi. Presto, dille il tuo desiderio, prima che sia troppo tardi!”.
Pictor si spaventò e temette di vedere svanire la sua fortuna. Rapido disse la parola e si trasformò in un albero. Giacché più di una volta aveva desiderato essere un albero, perché gli alberi gli apparivano così pieni di pace, di forza e di dignità.
Pictor divenne albero. Penetrò con le radici nella terra, si allungò verso l’alto, foglie e rami germogliarono dalle sue membra. Era molto contento. Con fibre assetate succhiò nelle fresche profondità della terra e con le foglie sventolò alto nell’azzurro. Insetti abitavano nella sua scorza, ai suoi piedi abitavano il porcospino e il coniglio, tra i suoi rami gli uccelli.
L’albero Pictor era felice e non contava gli anni che passavano. Passarono molti anni prima che si accorgesse che la sua felicità non era perfetta. Solo lentamente imparò a guardare con occhi d’albero. Finalmente poté vedere, e divenne triste.
Vide infatti che intorno a lui nel paradiso gran parte degli esseri si trasformava assai spesso, che tutto anzi scorreva in un flusso incantato di perenni trasformazioni. Vide fiori diventare pietre preziose o volarsene via come folgoranti colibrì. Vide accanto a sé più di un albero scomparire all’improvviso: uno si era sciolto in fonte, un altro era diventato coccodrillo, un altro ancora nuotava fresco e contento, con grande godimento, come pesce allegro guizzando, nuovi giochi in nuove forme inventando. Elefanti prendevano le veste di rocce, giraffe la forma di fiori.
Lui invece, l’albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più l’aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell’abbattimento, e perdono ogni bellezza.
Un bel giorno, una fanciulla dai capelli biondi e dalle veste azzurra si perse in quella parte del paradiso. Cantando e ballando la bionda fanciulla correva tra gli alberi e prima di allora non aveva mai pensato di desiderare il dono della trasformazione. Più di una scimmia sapiente sorrise alla suo passaggio, più di un cespuglio l’accarezzò lieve con le sue propaggini, più di un albero fece cadere al suo passaggio un fiore, una noce, una mela, senza che lei vi badasse.
Quando l’albero Pictor scorse la fanciulla, lo prese un grande struggimento, un desiderio di felicità come non gli era ancora mai accaduto. E allo stesso tempo si trovò preso in una profonda meditazione, perche era come se il suo stesso sangue gli gridasse: “Ritorna in te! Ricordati in questa ora di tutta la tua vita, trovane il senso, altrimenti sarà troppo tardi e non ti sarà più data alcuna felicità!”. Ed egli ubbidì. Rammemorò la sua origine, i suoi anni da uomo, il suo cammino verso il paradiso, e in modo particolare quell’istante prima che si facesse albero, quell’istante meraviglioso in cui aveva avuto in mano quella pietra fatata. Allora, quando ogni trasformazione gli era aperta, la vita in lui era stata ardente come non mai! Si ricordò dell’uccello che allora aveva riso e dell’albero con la luna e il sole; lo prese il sospetto che allora avesse perso, avesse dimenticato qualcosa, e che il consiglio del serpente non fosse stato buono.
La fanciulla udì un fruscio tra le foglie dell’albero Pictor, alzò lo sguardo e sentì, con un improvviso dolore al cuore, nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi sogni muoversi dentro di lei.
Attratta dalla forza sconosciuta si sedette sotto l’albero. Esso le appariva solitario, solitario e triste, e in questo bello, commovente e nobile nella sua muta tristezza; era incantata dalla canzone che sussurrava lieve la sua chioma. Si appoggiò al suo tronco ruvido, sentì l’albero rabbrividire profondamente, sentì lo stesso brivido nel proprio cuore. Il suo cuore, era stranamente dolente, nel cielo della sua anima scorrevano nuvole, dai suoi occhi cadevano lentamente pesanti lacrime. Cosa stava succedendo? Perché doveva soffrire così? Perché il suo cuore voleva spaccare il petto e andare a fondersi con lui, con il bel solitario?
L’albero tremò silenzioso fin nelle radici, tanto intensamente raccoglieva in sé ogni forza vitale, proteso verso la fanciulla, in un ardente desiderio di unione. Ohimè, perché si era lasciato raggirare dal serpente per essere confinato così, per sempre, solo in un albero! Oh, come era stato cieco, come era stato stolto! Davvero allora sapeva così poco, davvero era stato così lontano dal segreto della vita? No, anche allora l’aveva oscuramente sentito e presagito – ohimè! e con dolore e profonda comprensione pensò ora all’albero che era fatto di uomo e di donna!
Venne volando un uccello, rosso e verde era l’uccello, ardito e bello, mentre descriveva nel cielo un anello. La fanciulla lo vide volare, vide cadere dal suo becco qualcosa che brillò rosso come sangue, rosso come la brace, e cadde tra le verdi piante, splendette di tanta familiarità tra le verdi piante, il richiamo squillante della sua rossa luce era tanto intenso, che la fanciulla si chinò e sollevò quel rossore. Ed ecco che era un cristallo, un rubino, ed intorno ad esso non vi può essere oscurità.
Non appena la fanciulla ebbe preso la pietra fatata nella sua mano bianca, immediatamente si avverò il sogno che le aveva riempito il cuore. La bella fu presa, svanì e divenne tutt’uno con l’albero, si affacciò dal suo tronco come un robusto giovane ramo che rapido si innalzò verso di lui.
Ora tutto era a posto, il mondo era in ordine, solo ora era stato trovato il paradiso, Pictor non era più un vecchio albero intristito, ora cantava forte Pictoria. Vittoria.
Era trasformato. E poiché questa volta aveva raggiunto la vera, l’eterna trasformazione, perché da una metà era diventato un tutto, da quell’istante poté continuare a trasformarsi, tanto quanto voleva. Incessantemente il flusso fatato del divenire scorreva nelle sue vene, perennemente partecipava della creazione risorgente ad ogni ora.
Divenne capriolo, divenne pesce, divenne uomo e serpente, nuvola e uccello. In ogni forma però era intero, era una “coppia”, aveva in sé luna e sole, uomo e donna, scorreva come fiume gemello per le terre, stava come stella doppia in cielo.

Hermann Hesse "Favola d'amore", traduzione di Katja Tenenbaum, edizioni Fiabesca.

1 commento:

  1. questa fiaba scritta da hermann hesse ha due significati nascosti, uno è perchè non intende scrivere una semplice storia sulla trasformazione di pictor ma bensì il mutamento che l'uomo ha nella sua vita; cresce, matura, diventa più saggio; però sovente sono le volte in cui esso non si sente completo, come anche pictor. Arriva alla completezza quando incontra l'anima gemella. Impariamo dall'esperienze negative e positive arrivando ad essere abbastanza maturi da poter capire cio che giusto o sbagliato.
    La seconda è che l'uomo vive giorno per giorno di dolori ma ciò che lo rende beato sono i momenti di infinita tranquillezza e felicità. Ma purtroppo questi sono solo piccoli momenti che rendono vitale i nostri ricordi. noi uomini siamo alla ricerca della felicita e in questa lunga ricerca cambiamo, mutiamo, ci trasformiamo ecco cosa secondo me hermann hesse vuole dire. CAMBIAMO E IMPARIAMO DAL NOSTRO PASSATO RENDENDO IL PRESENTE FELICE

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