1.
Qual è la differenza fra " storia" e "poesia", secondo quanto dichiarato
dal Manzoni ( Lettera a Mr. Chaveut) e da Aristotele ( Poetica)? 2.
Evidenziate, sulla scorta di tale formulazione teorica, quali parti vi
sembrano più propriamente "poetiche" in alcuni passi dei capitoli finora
esaminati dei "Promessi Sposi".3.
Chiarite cosa intenda Manzoni per "vero poetico" in un confronto tra l'ode
" Cinque Maggio" ed il Coro dell'Atto IV dell'Adelchi.
TESTI:
MANZONI: Adelchi, Coro, Atto IVclicca qui di seguito
http://www.digila.it/public/iisbenini/transfert/Bernazzani/4B%20Mercurio/Materiale/CD_163Adelchi-coro%20atto%20IV.pdfMANZONI: Ode 5 Maggioclicca qui di seguito
http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t227.pdfNadia Raimondo 18 gennaio 2010
Monsieur Chauvet era un critico che aveva denunciato la mancanza delle unità aristoteliche ne “
Il conte di Carmagnola”.
Secondo Aristotele infatti nel classicismo tragico ci dovevano essere tre unità: • Unità di tempo: rappresentazione delle azioni in un unico arco temporale, dalla mattina alla sera. • Unità di luogo: luogo unico nel quale i personaggi agissero o comunicassero; nella tragedia greca spesso alcune azioni vengono riferite sulla scena. • Unità di azione: questa doveva svolgersi in maniera tale che le varie azioni si concatenassero l’una con l’altra dall’inizio alla fine senza che sconvolgere l’ordine dell’insieme. Queste tre unità dovevano garantire la verosimiglianza. Secondo Manzoni se ci fossero tante scene il lettore avrebbe avuto difficoltà ad immedesimarsi nell’azione. Lui accetta infatti solo l’unità di azione e rifiuta le altre due perché perchè una contrazione di eventi svolti in tempi e luoghi diversi. Se il soggetto non è uno storico soffermarsi su lunghe emozioni vanno contro la verosimiglianza. Per questo Manzoni non le rifiuta per fantasticare bensì per garantire il vero secondo quanto lo storico deve fare; le unità costringono lo scrittore ad inventare mentre le emozioni sono i sentimenti più facili che possano esistere nella mente di un uomo. Secondo Manzoni sia la storia sia la poesia devono avere come oggetto il vero soltanto che mentre la storia si occupa di precisare i fatti con obiettività, la poesia invece cerca di scrutare ed intuire i sentimenti e le personalità dei personaggi nella storia. Ciò nonostante esiste una certa affinità tra intimo storico e intimo poeta perché entrambi si occupano dell’approfondimento psicologico della realtà. Il poeta potrà inventare i fatti secondari , ma questa invenzione non dovrà alterare la realtà storica. Ciò permette a Manzi di spostare l’attenzione dai potenti agli umili come nel caso di Renzo e Lucia. Il modo di intendere la poesia e la storia per Manzoni si contraddice alla poetica di Aristotele. Secondo Aristotele infatti, le cause che hanno dato origine alla poesia sono due: l’istinto di imitare e la tendenza di imitare mediante il linguaggio. Procedendo con una serie graduale di perfezionamenti si dette origine alla poesia. Compito del poeta non è scrivere cose realmente accadute bensì cose che potranno accadere. Perciò la differenza tra storico e poeta non è che l’uno scrive in prosa e l’altro scrive in versi ma la vera differenza è che lo storico scrive di fatti realmente accaduti, il poeta di fatti che potranno accadere. A titolo di quanto detto da Aristotele la poesia è qualcosa di più della storia, la poesia si occupa dell’universale, lo storico del particolare. A noi ora non importa chi dei due avesse ragione e non intendo espormi per nessuno dei due, ci importa piuttosto come Manzoni abbia saputo ben bilanciare le due discipline dando quel tocco in più che in una normale opera storiografica, come quella di Erodono, non si nota. Nei “Promessi Sposi” infatti, Manzoni oltre a fungere da storico funge anche da poeta. Lo notiamo nel passo dell’ Addio ai monti o a mia parere nel V capitolo: “L’ autorità del Tasso non serve al suo assunto", signor podestà a tavola riverito; anzi è contro di lei; - riprese a urlare il conte Artilio: - perché quell'uomo erudito, quell'uomo grande, che sapeva a menadito tutte le regole della cavalleria, ha fatto cioè il messo d'Argante, prima d'esporre la sfida ai cavalieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione ... - Ma questo - replicava, non meno urlando, il podestà, - questo è un di più, un mero di più, un ornamento poetico, giacché il messaggiero è di sua natura inviolabile, per diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar tanto a cercare, lo dice anche il proverbio: ambasciator non porta pena. E, i proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il messaggiero detto nulla in suo proprio nome, ma solamente presentata la sfida in iscritto ... - Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un asino temerario, che non conosceva le prime'? ... ? - Con buona licenza di lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale non avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti?': - rimettiamo la nel padre Cristoforo; e si stia alla sua sentenza. - Bene, benissimo, - disse il conte Attilio, al quale parve cosa molto garbata di far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino; mentre il podestà, più infervorato di cuore nella questione, si chetava a stento, e con un certo viso, che pareva volesse dire: ragazzate. Ma, da quel che mi pare d'aver capito, - disse il padre, - non son cose di cui io mi deva intendere. - Solite scuse di modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma non mi scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio in capo, e che il mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione. - Il fatto è questo, - cominciava a gridare il conte Attilio. - Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino, - riprese don Rodrigo. - Ecco la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il portatore, non trovando il provocato in casa, consegna il cartello a un fratello del cavaliere; il qual fratello legge la sfida, e in risposta dà alcune bastonate al portatore. Si tratta. .. - Ben date, ben applicate, - gridò il conte Attilio. - Fu una vera ispirazione. - Del demonio, - soggiunse il podestà. - Battere un ambasciatore! persona sacra! Anche lei, padre, mi dirà se questa è azione da cavaliere. - Sì, signore, da cavaliere, - gridò il conte: - e lo lasci dire a me, che devo intendermi di ciò che conviene a un cavaliere. Oh, se fossero stati pugni, sarebbe un'altra faccenda; ma il bastone non isporca le mani a nessuno. Quello che non posso capire è perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone. - Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio? Lei mi fa dire spropositi che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato del carattere, e non di spalle, io. Parlo sopra tutto del diritto delle genti. Mi dica un poco, di grazia, se i feciali che gli antichi Romani mandavano a intimar le sfide agli altri popoli, chiedevan licenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno scrittore che faccia menzione che un feciale sia mai stato bastonato. - Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? gente che andava alla buona'", e che, in queste cose, era indietro, indietro. Ma, secondo le leggi della cavalleria moderna, ch'è la vera, dico e sostengo che un messo il quale ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un temerario, violabile violabilissimo, bastonabile bastonabilissimo ... - Risponda un poco a questo sillogismo. - Niente, niente, niente. - Ma ascolti, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un disarmato è atto proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme: ergo - Piano, piano, signor podestà. - Che piano? - Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio è ferire uno con la spada, per di dietro, o dargli una schioppettata nella schiena: e, anche per questo, si posson dar certi casi... ma stiamo nella questione. Concedo che questo generalmente possa chiamarsi atto proditorio, ma appoggiar quattro bastonate a un mascalzone! Sarebbe bella che si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: come si direbbe a un galantuomo: mano alla spada. E lei, signor dottor riverito, in vece di farmi de' sogghigni, per farmi capire ch'è del mio parere, perché non sostiene le mie ragioni, con la sua buona tabella, per aiutarrni a persuader questo signore? - lo ... - rispose confusetto il dottore: - io godo di questa dotta disputa; e ringrazio il bell'accidente che ha dato occasione a una guerra d'ingegni così graziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza: sua signoria illustrissima ha già delegato un giudice ... qui il padre ... - È vero; - disse don Rodrigo: - ma come volete che il giudice parli, quando i litiganti non vogliono stare zitti? - Ammutolisco, - disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e alzò la mano, come in atto di rassegnazione. - Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre, - disse don Rodrigo, con una serietà mezzo canzonatona. - Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'intendo, - rispose fra Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore. - Scuse magre: - gridarono i due cugini: - vogliamo la sentenza. - Quand'è così, - riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate. I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati. - Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio. - Mi perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo. - Lui? - disse don Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conosce, cugino mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica, se non ha fatta la sua carovana'"? In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il padre disse una parolina in segreto a sé medesimo: "queste vengono a te; ma ricordati, frate, che non sei qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto". - Sarà, - disse il cugino: - ma il padre ... come si chiama il padre? - Padre Cristoforo - rispose più d'uno. - Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il supposto è impossibile. - Animo, dottore, - scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre più divertire la disputa dai due primi contendenti, - animo, a voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo'". Vediamo un poco come farete per dar ragione in questo al padre Cristoforo. - In verità, - rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e rivolgendosi al padre, - in verità io non so intendere come il padre Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo, non abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza. Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate. Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a suscitare un' altra. - A proposito, - disse, - ho sentito che a Milano correvan voci d'accomodamento". Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo:". Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu", sosteneva quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente chiamato il conte duca, non lo voleva lì, per le stesse ragioni; e gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso l'imperator Ferdinando II, la prima perché accordasse l'investitura al nuovo duca; la seconda perché gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello stato. - Non son lontano dal credere, - disse il conte Attilio, - che le cose si possano accomodare. Ho certi indizi ... - Non creda, signor conte, non creda, - interruppe il podestà. - lo, in questo cantuccio, posso saperle le cose; perché il signor castellano spagnolo, che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato" del conte duca, è informato d'ogni cosa... - Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con ben altri personaggi; e so di buon luogo che il papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto proposizioni ... - Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e... - E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo momento? Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo? le cose a cui si deve pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di Valdistano o di Vallistai", o come lo chiamano, e se... - Il nome legittimo in lingua alemanna, - interruppe ancora il podestà, - è Vagliensteino, come l'ho sentito proferir più volte dal nostro signor castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animo, che ... - Mi vuole insegnare ... ? - riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli dié d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse di contraddire. Il conte tacque, e il podestà, come un bastimento disimbrogliato da una secca, continuò, a vele gonfie, il corso della sua eloquenza. - Vagliensteino mi dà poco fastidio; perché il conte duca ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se Vagliensteino vorrà fare il bell'umore'", saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le cattive. Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo, come l'ha fisso, e giustamente, da quel gran politico che è, che il signor duca di Nivers non metta le radici in Mantova, il signor duca di Nivers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliù farà un buco nell' acqua. Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler co-zzare con un conte duca, con un Olivares. Dico il vero, che vorrei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir cosa diranno i posteri'", di questa bella pretensione. Ci vuoi altro che invidia; testa vuoi esser: e teste come la testa d'un conte duca, ce n'è una sola al mondo. Il conte duca, signori miei, - proseguiva il podestà, sempre col vento in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incontrar mai uno scoglio: - il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto rispetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna a destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon metterli in esecuzione, quegli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. lo posso parlare con qualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signor castellano si degna di trattenersi meco, con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa appuntino cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti; e tutti que' politiconi (che ce n'è di diritti assai, non si può negare) hanno appena immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha già indovinato, con quella sua testa, con quelle sue strade coperte, con que' suoi fili tesi per tutto. Quel pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare una mina, trova la contrammina già bell' e fatta dal conte duca ... Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo, stimolato anche dà versacci che faceva il cugino, si voltò all'improvviso, come se gli venisse un'ispirazione, a un servitore, e gli accennò che portasse un certo fiasco. - Signor podestà, e signori miei! - disse poi: - un brindisi al conte duca; e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio -. Il podestà rispose con un inchino, nel quale traspariva un sentimento di riconoscenza particolare; perché tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo riteneva in parte come fatto a sé. - Viva mill’anni don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san Lucar, gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore! - esclamò, alzando il bicchiere. Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per significare il favorito d'un principe. - Viva mill'anni! - risposer tutti. - Servite il padre, - disse don Rodrigo. - Mi perdoni; - rispose il padre: - ma ho già fatto un disordine'", e non potrei ... - Come! - disse don Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuoi dunque far credere ch' ella tenga dai navarrini? Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di Navarra, che avevan cominciato, con Enrico JV89, a regnar sopra di loro. A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dottore, il quale, col capo alzato, con gli occhi fissi, con le labbra strette, esprimeva molto più che non avrebbe potuto far con parole. - Che ne dite eh, dottore? - domandò don Rodrigo. Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lucente di quello, il dottore rispose, battendo con enfasi ogni sillaba: - dico, proferisco, e sentenzio che questo è l'Olivares de' vini: censui, et in eam ivi sententiamì", che un liquor simile non si trova in tutti i ventidue regni del re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e definisco che i pranzi dell'illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene d'Eliogabalo?'; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo palazzo, dove siede e regna la splendidezza. - Ben detto! ben definito! - gridarono, a una voce, i commensali: ma quella parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso, rivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui andavan tutti d'accordo, almeno nel principale'": ma il fracasso era forse più grande che se ci fosse stato disparere. Parlavan tutti insieme. - Non c'è carestia, - diceva uno: - sono gl'incettatori ... - E i fornai, - diceva un altro: - che nascondono il grano. Impiccarli. - Appunto; impiccarli, senza misericordia. De' buoni processi, - gridava il podestà. _ Che processi? - gridava più forte il conte Attilio: - giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli. _ Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla. _ Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti. Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com' era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole che s'udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli. Don Rodrigo intanto dava dell' occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva sempre Il fermo, senza dar segno d'impazienza né di fretta, senza far atto che tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene, prima d'essere stato ascoltato. [avrebbe mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi à suoi comandi -; e lo condusse in un'altra sala.” De' buoni processi, - gridava il podestà. _ Che processi? - gridava più forte il conte Attilio: - giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli. _ Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla. _ Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti. Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com' era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole che s'udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli. Don Rodrigo intanto dava dell' occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva sempre lì fermo, senza dar segno d'impazienza né di fretta, senza far atto che tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene, prima d'essere stato ascoltato. L’ avrebbe mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi à suoi comandi -; e lo condusse in un'altra sala. Possiamo notare come Manzoni sia anche un poeta nel passo in cui Renzo si arrabbia per il rifiuto di Lucia di sposarsi in segreto, in questo passo abbiamo una serie di emozioni di rabbia che ci indicano l’aspetto psicologico del personaggio. Nell’ Adelchi Manzoni si può definire sia storico perché narra di fatti realmente accaduti durante l’epoca carolingia però abbiamo qualche dubbio su Ermengarda. Nell’atto IV infatti manzoni interpreta la parte di poeta riservandosi un piccolo cantuccio per descrivere l’animo della donna e non di storico. Anche nel “5 Maggio” l’autore non è uno storico infatti la poesia di per sé non narra un fatto storico, perciò risulta vera poesia. L’arte di Manzoni sta nel fatto che ha saputo ben valorizzare il valore poetico delle sue opere facendo emergere dentro la rappresentazione di un fatto la verità, che è il principio dell’intera realtà dell’uomo e della storia.
Nadia Raimondo classe V A
Risposte alle domande su ManzoniAnna Mirabelli 19/01/2010
Secondo quanto è stato detto da Manzoni,e molto tempo prima, da Aristotele, ci sono delle differenze tra poesia e storia. Storia e poesia hanno una cosa in comune:il vero, cioè il reale accadimento dei fatti, ma lo trattano in modo diverso. Il vero storico indaga gli effetti, e non si cura dei sentimenti con cui i protagonisti hanno vissuto quei fatti, si narra solo dei grandi personaggi che sono statici poiché è lo storico che narra gli eventi.
Il vero poetico, invece, ci fa capire l’animo umano e cerca di immaginare i sentimenti con cui gli individui e i popoli hanno vissuto gli eventi storici, fa parlare i personaggi che possono essere sia grandi uomini politici sia gente comune.
Secondo Manzoni lo scrittore non deve diventare uno storico, ma il suo compito è quello di ricostruire nel modo più vero possibile ciò che fa nascere gli avvenimenti storici, cioè i sentimenti, le speranze. Queste cose allo storico non interessano ma sono la base dei fatti storici. Il poeta quindi deve ricostruire la parte nascosta della storia, cioè l’uomo con le sue debolezze, le sue difficoltà e i suoi insuccessi.
Nei promessi sposi la parte più poetica secondo me è l’”Addio ai Monti”,ma tutto il romanzo può essere definito poesia poiché Manzoni fa parlare i personaggi che sono gente comune e si sofferma sulla loro umanità. Ma non per questo quello che viene raccontato è falso; Manzoni infatti si documentò moltissimo per far si che il racconto fosse vero.
Per quanto riguarda l’ode del 5 Maggio e il VI coro dell’Adelchi entrambi sono delle poesie poiché Manzoni narra dei fatti realmente accaduti ma aggiungendo i sentimenti che i personaggi,in questo caso Napoleone ed Ermengarda, provarono prima di morire. In più per quanto riguarda il 5 Maggio Manzoni non avrebbe mai potuto fare lo storico perché essendo un fatto accaduto nel suo tempo sarebbe stato un cronista dell’epoca.Veronica Samà: 19/01/2010
Manzoni dimostra l'irragionevolezza delle cosiddette unità aristoteliche di tempo e di luogo. Per quanto ho capito afferma che la storia è l'unica fonte della poesia. In cosa si distinguono le due attività? La storia ci dà dei fatti che non sono conosciuti se non nel loro aspetto esteriore, quello cioè che gli uomini hanno fatto, ma non ci dice i pensieri, i sentimenti che li hanno accompagnati. A QUESTO proposito mi vengono in mente "il 5 maggio" e "l'Adelchi". Il poeta deve completare la storia, la sua invenzione deve accordarsi con la realtà, anzi è un modo per costringerla a venir fuori e a rivelarsi. Possiamo dire che Manzoni fa una sorta di fusione tra la poesia e la storia, perchè la storia racconta la verità oggettiva degli avvenimenti, la poesia può raccontare la verità soggettiva dei singoli personaggi. L'invenzione deve essere limitata all'integrazione del dato storico. Il vero storico è sempre quello che desta maggior interesse. Lo scopo di Manzoni quindi,che si può definire poeta-storico-romanziere, è quello di saper trarre dal vero reale il vero ideale, senza alterare i fatti storici, ma riservandosi uno spazio in cui poter parlare personalmente rendendosi interprete dei sentimenti morali dell'umanitàVeronica;)
Considerazioni:Secondo me, Alessandro Manzoni esprime una sua concezione di vedere la storia e la poesia in modo contrapposto alla teoria di Aristotele che invece credeva che la poesia dovesse esprimere il verosimile cioè tutto quello che possa accadere. Secondo Manzoni infatti lo storico si deve occupare a raccontare l’evento storico com’è realmente accaduto senza aggiunte personali, mentre il poeta oltre a raccontare l’evento cerca di esprimere i sentimenti dei personaggi nelle varie circostanze. Ho notato che nel quarto capitolo dei Promessi Sposi quando Manzoni parla di Lodovico lo fa in maniera piuttosto poetica, perché durante il duello avuto con un “nobile arrogante” vengono messe in primo piano le sue emozioni: l’odio che prova in quel momento e la rabbia che gli devasta l’anima. Ma non è finita qui perché la conseguenza di questo duello è la morte di un povero innocente, così ancora una volta le sensazioni di Lodovico vengono esternate: decide di cambiare vita, di rendere onore all’uomo morto in duello, decide di farsi frate. Secondo me in questa lunga digressione Manzoni oltre ad essere uno storico è anche un poeta, infatti oltre ad essere raccontati gli eventi accaduti l’autore comunica al lettore le varie emozioni del personaggio. Invece nel “5 maggio” e “l’Adelchi” Manzoni è un poeta a tutti i sensi, infatti pur raccontando fatti realmente accaduti, aggiunge quel tocco in più che solo un poeta sa fare meglio di tutti… i sentimenti.
Michela Mangone 20/01/2010
Queste sono le mie considerazioni a proposito delle domande su Manzoni. Buon divertimento.
1° La storia è di fondamentale importanza sia nel Manzoni che nel Romanticismo. Per Manzoni, dunque, la storia è importante perché si contrappone al mito, alla leggenda: i miti, come si sa, sono avvenimenti inventati; la storia è realtà, un insieme di vicende realmente accadute. Il Manzoni, per quanto riguarda ciò che è riportato nella Lettera a Mr. Chauvet, sostiene che lo storico si occupa dei fatti, della sequenza degli avvenimenti e di come questi si sono svolti stabilendone cause e conseguenze; il poeta non si distacca dalla storia ma cerca di capire come questa è stata influenzata ed ha influenzato l’animo umano, degli uomini che sono stati i protagonisti della storia: quali sono i sentimenti e le passioni che li hanno portati ad agire in quel modo. Quindi il Manzoni indaga nell’animo di chi ha fatto la storia per ottenere un quadro di come agiscono gli uomini e di cosa (passioni e sentimenti) li spinge a comportarsi in un certo modo. Grazie a un prezioso documento rinvenuto, quale è la Poetica, questa concezione era stata adottata in precedenza anche da Aristotele, filosofo greco vissuto durante il IV secolo a.C.
2° Sulla base dei capitoli esaminati, la parte secondo me più poetica è “L’Addio ai Monti”, passo lirico di incommensurabile bellezza con il quale il narratore riporta i pensieri e i sentimenti di Lucia quando giunge il momento di salutare le cose a lei care per ritrovarsi in dei luoghi che non aveva mai pensato di esplorare.
3° Per ciò che riguarda la terza, credo di aver già risposto nella prima soluzione.
Francesco Impellizzeri 20/01/2010
Simona Lanteri 20/01/2010 ore 17.59
Secondo Aristotele “La poesia è attività teoretica e piú elevata della storia, la poesia espone piuttosto una visione del generale, la storia del particolare.”Il Manzoni nella lettera Monsieur Chauvet afferma che se si toglie al poeta il diritto di inventare i fatti, ciò che lo distingue dallo storico è la POESIA. Il poeta ci fa rivivere i momenti di una parte di storia in prima fila, ci descrive come per esempio il Manzoni nell’ode politica “5 Maggio” o il “Coro dell'Atto IV dell'Adelchi” dei momenti che potrebbero sembrare ovvii riesce a descriverli straordinariamente bene attraverso l’arte della poesia;infatti in entrambe le opere viviamo momento per momento la vita dei personaggi, che in un libro di storia non potremmo mai trovare, ecco cosa distingue lo storico dal poeta. Nelle opere prima citate, troviamo personaggi realmente vissuti, Napoleone Bonaparte grande uomo polito che compì straordinarie imprese nel corso della sua vita e sempre per questioni politiche fu costretto all’esilio e dopo qualche tempo arrivò per lui la morte; ecco che entra in gioco Manzoni con il “5 Maggio”,il poeta come ci dice nel testo non scrisse l’ode né nel momento di auge di Napoleone né nel momento in cui cadde in basso, la scrisse solo nel momento in cui arrivò la notizia della sua morte, la scrisse per lo stupore che la notizia ebbe in tutta Europa. Il poeta si sofferma oltre alle tante imprese compiute, nel momento della morte; in analogia con la tragedia “Adelchi” facendoci notare gli ultimi pensieri di quest’uomo morto dal peso dei suoi ricordi e dalle sue aspirazioni che ormai non potrà più compiere , dalla tanta sofferenza vissuta, Napoleone non trova più il senso della sua esistenza muore soffocato dalle cose rimpiante e il Manzoni nelle ultime strofe fa la similitudine con il naufrago che cerca di trovare una via di fuga dalle onde che lo sovrastano ma ormai è troppo tardi e non c’è più possibilità di salvezza. Mediante la sofferenza Napoleone trova la salvezza, la mano salvatrice della provvidenza divina che toccando l’uomo salvifica. Nella tragedia “Adelchi” la protagonista Ermengarda muore sovrastata dal pensiero del ricordo del marito Carlo Magno. Ella ricorda la prima volta in cui vide “Il chomato Sir” e rimpiange quei momenti; “Sgombra, o gentil, dall’ansia/Mentre i terrestri ardori;/Leva all’eterno un candido/ Pensier d’offerta, e muori:/” Manzoni rivolgendosi alla ragazza le dice in qualche maniera di morire felice nel senso di dimenticare tutto ciò che è stato, gli amori terrestri, e che con la morte troverà la pace eterna. L’unica sua colpa è quella di discendere da una rea progenie, “Muori; e la faccia esanime/Si ricomponga in pace;/”
Laura Fabietti 20/01/2010 18.09
Prof non so se va bene :)
"Alessandro Manzoni, come aveva già affermato il filosofo greco Aristotale, differenzia la "storia" dalla "poesia". Questo si riesce a vedere soprattutto grazie alla lettera scritta da Manzoni a monsieur Chavet dove dice che il "vero storico" è colui che indaga sui fatti realmente accaduti e parla di grandi personaggi, invece il "vero poetico" è colui che, racconta episodi realmente accaduti come fa lo storico, ma penetra nei sentimenti dei personaggi, che non sono solo personaggi noti a tutti, ma anche gente comune. A questo proposito Manzoni scrivendo i Promessi sposi unisce lo storico al poeta, storico in quanto si documentò sul periodo da lui narrato, su quello che accadde, poeta in quanto penetra nei sentimenti e nei pensieri più profondi e personali dei personaggi, che in questo caso sono persone comuni. Possiamo dire che questo romanzo storico è tutto poesia, perché Manzoni ci racconta spesso delle emozioni provate dai personaggi, come fa nell'Addio ai monti penetrando nei pensieri di Lucia.
Nell'Ode il "5 Maggio" e nel Coro "Adelchi" Atto IV si può vedere come Manzoni penetra nelle paure e nelle sensazioni di Napoleone e di Ermengarda, entrambi sul punto di morte. "
19 gennaio 2010 19.57
Claudia Ierace ha detto... Alessandro Manzoni fu un grande scrittore con un immenso amore per la storia. Egli ha una concezione molto diversa tra storia e poesia e racchiuse i suoi pensieri nella lettera a Monsieur Chauvet. Manzoni, facendo riferimento anche alla
Poetica di Aristotele, dice che la storia racconta fatti reali di persone veramente esistite senza nessun commento di chi la narra;la poesia è invece un qualcosa di più libero,in cui ci si può esprimere liberamente...Ma senza storia non ci sarebbe poesia. Mi verrebbe da fare un esempio per capire meglio: storia: Cesare combatte contro i Galli; poesia: come Ceasre si sente mentre combatte contro i Galli. Queste definizioni mi fanno pensare a due opere scritte dal manzoni: Il 5 Maggio e l'atto IV dell'adelchi. Entrmbe sono basate su avvenimenti davvero accaduti, ma ciò che li accomuna è il fatto che Manzoni descrive le emozioni dei personaggi.Nel 5 maggio Manzoni descrive lo stato d'animo addolorato di napoleone costretto a vivere nell'isola di sant'Elena nell'ozio, ricorda i suoi avvenimenti e narra lo stupore della gente alla notizia della sua morte;nell' atto IV dell'adelchi manzoni racconta tutto il dolore di Ermengarda, Che sul punto di morte ricorda i giorni felici.
Claudia V A
Gilda Ciacci 20/01/2010 ore 19.36
DIFFERENZA FRA STORICO E POETA :
Manzoni nella lettera a Monsieur Chauvet, tratta della differenza fra testo storico e testo poetico. Ma anche Aristotele, molti anni prima, in una sua opera la
Poetica aveva già trattato di questo argomento, dicendo anch'egli che il testo storico viene visto più da un punto di vista oggettivo; dove vengono solo raccontati fatti realmente accaduti. Nel testo poetico si ha una caratteristica in più che lo rende migliore rispetto a quello storico; infatti nel primo si devono "mettere" fatti accaduti ma si può usare anche un pò di fantasia,in cui trovano spazio anche i sentimenti e i pensieri dei personaggi che lo rendono più accattivante e soggettivo.
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Alessandro Manzoni scrisse anche l'
Adelchi , per il momento abbiamo solo preso in esame l'Atto IV , coro; parte in cui l'autore si ritrae un piccolo spazio per dare i propri giudizi! Questi versi come il
5 Maggio , oltre a essere poetico è anche storico perchè al suo interno trovano spazio anche accenni a fatti veramente accaduti. Questo Atto viene definito come uno dei momenti più lirici della poesia di Manzoni; dove l'autore esprime i sentimenti dei personaggi. Nella descrizione introduttiva dei primi versi sembra che l'autore compatisca la protagonista [ Ermengarda ] in modo tale che, anche descrivendo solo il suo aspetto fisico, in modo indiretto, con l'uso di una aggettivazione mirata ed efficace, riesce anche a descrivere il suo stato interiore, quello dell'anima. Come ad esempio alla prima strofa , definisce Ermengarda :PIA ! cioè santa , con i capelli raccolti anche se non ben pettinati ! , affannosa sul letto di morte perchè sta x morire , e da qui si può capire il suo stato d'animo ! affannosa perchè pensa al suo amato ! lei muore per la fiamma dell'amore che brucia insieme al ricordo dei giorni in cui ebbe conosciuto Carlo. Come Napoleone nel
5 Maggio , morì per l'ozio, abituato a muoversi da una parte all'altra, a fare grandi imprese, battaglie , e in fine costretto a stare immobile su un'isola desolata ; morti entrambi per una lunga sofferenza ! ma grazie a questo riusciranno a salvarsi grazie all'aiuto di Dio .
Luciana Giulino 20 gennao 2010, ore 19.59
Secondo quanto detto da Manzoni nella lettera indirizzata a Mr Chauvet, la storia ci informa su degli avvenimenti sconosciuti ma senza fornirci notizie su emozioni, sensazioni e sentimenti dei personaggi; lo storico infatti si limita a narrare gli avvenimenti nel modo più oggettivo possibile. Nella poesia, invece, troviamo tutti i sentimenti, le paure, i timori, che hanno accompagnato i protagonisti durante le azioni da loro svolte. Manzoni, infatti, nell'ode "
Cinque Maggio" e nell'
atto IV dell'
Adelchi, oltre a narrare le vicende dei rispettivi protagonisti: Napoleone Bonaparte ed Ermengarda, descrive i pensieri, i timori e le sensazioni che provarono quando erano sul punto di morte.
Per quanto riguarda invece i
Promessi Sposi, credo che la parte più poetica sia: l'addio ai monti, in questa parte, infatti, vengono descritte tutte le emozioni che Lucia provava nel lasciare il suo paese.
Luciana classe V A
Annachiara Cubello 20/01/2010, ore 21.04
Basandoci sull'amore sviscerato del Manzoni nei riguardi della storia e basandoci anche su alcuni dei suoi documenti che sono arrivati sino ai nostri giorni,possiamo comprendere il vero significato dellìessere storico e dell'essere poeta.Ad esempio,la definizione secondo Manzoni dello storico è colui il quale ha il compito di riunire gli eventi accaduti nel passato e di descriverli in modo "oggettivo",cercando di non introdurre un prorpio giudizio personale che in qualche modo potrebbe influenzare il lettore,o anche di non inserire dei particolari dettagli su determinati avvenimenti.Una parte del lavore dello storico viene assorbita anche dal poeta che,come quello,ha il compito di narrare gli avvenimenti ma al contrario dello storico,il poeta può avere la libertà di ideare o accescere avvenimenti che lo storico non avrebbe mai potuto inserire e addirittura il poeta racconta gli avvenimenti introducendo propri giudizi,pensieri o anche sensazioni,emozioni e sentimenti.Un esempio per comprendere meglio il significato di queste parole è l'ode politica,scritta da Manzoni e intitolata " Cinque maggio" dedicata alla morte di Napoleone Bonaparte,oppure il coro sulla morte della Princiessa Ermelgalda,estrapolata dall'opera "Adelchi".Questi due personaggi,sono completamente diversi,eppure hanno alcuni punti in comune e uno di questi è proprio la sofferenza:in tutti e due i componimenti,infatti,viene esaltato da Manzoni il tormento del ricordo che affiora nella mente dei due personaggi...affiora il ricordo del passato e dei momenti di massimo splendore che una volta trascorsi non possono tornare più.Questo struggente dolore porta alla morte che Manzoni descrive come l'inizio di una nuova vita,difatti per lui la vita è uno strumento che viene offerto da Dio che permette di realizzarsi e di compiere imprese memorabili che rimarranno nella storia.
Ilaria Gareri20 gennaio 2010, ore 21.43